Il caso
Davanti
ai giudici di Milano prima e alla Corte di Cassazione poi, SCF, collecting che tutela i diritti connessi
dei produttori fonografici, chiede ad un dentista il pagamento del compenso per
la diffusione di musica nel suo studio professionale.
La vicenda
è analoga a quella affrontata dalla Corte di Giustizia nella controversa
sentenza SCF, a cui la Cassazione, in modo criticabile, aderisce.
La decisione della Corte di Cassazione
Proprio
perché, secondo la Corte, il caso ricalca quello deciso nella citata sentenza
SCF, la soluzione deve essere la stessa: l’utilizzo di opere protette negli
studi dentistici non è considerato comunicazione
al pubblico ai sensi dell’art. 3 Direttiva 2001/29/CE e ai titolari
dei diritti connessi non spetta alcun compenso.
L’ordinanza
sottolinea il valore vincolante e retroattivo delle sentenze pregiudiziali
della Corte di Giustizia negli Stati membri.
Sono
richiamati, inoltre, alcuni precedenti dei giudici europei – SGAE,
Phonographic Performance (Ireland), OSA e ITV Broadcasting – che,
sotto diversi aspetti e spesso in modo difforme dalla sentenza SCF, hanno
riguardato il tema della comunicazione al pubblico. Per la Cassazione,
tuttavia, tra queste sentenze non c’è alcun contrasto e il principio stabilito
in SCF può essere applicato anche nel caso attuale.
La
decisione, in conclusione, afferma che è soprattutto l’elemento del pubblico, inteso in senso quantitativo,
a mancare nell’ipotesi della musica negli studi dentistici, escludendola dal
campo di applicazione dell’art. 3 Direttiva 2001/29/CE.
Perché questa ordinanza è importante?
La
soluzione della Cassazione – condizionata dall’analogia con il caso SCF – non è
convincente, soprattutto alla luce della giurisprudenza più recente della Corte
di Giustizia.
Alcune
sentenze citate (OSA, SGAE, Phonographic Performance Ireland) hanno
affermato che c’è comunicazione al pubblico ai sensi dell’art. 3 in ambiti simili
a quello degli studi dentistici, quali istituti termali e camere d’albergo.
In
particolare, nel caso Reha Training la Corte di Giustizia sembra aver
superato l’interpretazione restrittiva proposta in SCF, che deve essere
limitata al suo specifico contesto, come auspicato dall’Avvocato Generale Bot nelle
conclusioni rese nella causa Reha Training.
Anche i
giudici italiani dovrebbero, di conseguenza, adeguarsi alla nuova tendenza,
garantendo una miglior tutela ai titolari dei diritti.