Quasi l’80% degli intervistati guadagna nulla o somme irrisorie
dallo streaming. Un quadro allarmante che contraddice la retorica di chi parla
di “democrazia dello streaming”. Necessaria
una riforma che rimetta gli artisti al centro.
Quanto valgono i diritti streaming degli artisti? Poco o nulla,
in un sistema per nulla equo, caratterizzato da mancanza di tutele e contratti inadeguati, poca trasparenza, report
poco chiari e non condivisi: una realtà che vede gli artisti interpretare un
ruolo ancora troppo marginale e passivo nel settore.
È in sintesi il quadro drammatico che emerge dalla ricerca
realizzata dall’Università Cattolica del Sacro Cuore in collaborazione
con ITSRIGHT, società che gestisce i diritti connessi di oltre 170.000
artisti e musicisti.
“Il futuro di prosperità e stabilità per gli artisti che
promettevano le piattaforme di streaming, con il superamento della pirateria
come primo canale di distribuzione musicale, sembra ancora di là da venire. Appare
quindi auspicabile un’attività di advocacy puntuale ed accurata che fornisca
forme di empowerment efficace alla categoria”. È
il commento del Dott. Matteo Tarantino, docente di
Data, Communication & Society presso l’Università Cattolica e responsabile
scientifico della ricerca.
"Lo
streaming rappresenta una parte residuale del reddito degli artisti e, quindi,
pur a fronte di una crescita economica del comparto non si registra una
redistribuzione equa dei ricavi. La Direttiva Copyright ha lasciato infatti
spazi di discrezionalità nell’attuazione agli Stati membri che non hanno dato evidentemente
i risultati attesi. È importante lavorare sin da ora nell’ambito del riesame della
Direttiva previsto entro il giugno 2026, guardando alle buone pratiche già esistenti, come il caso
del Belgio, e valutare la pubblicazione di linee guida specifiche per
l’attuazione corretta dell’art.18 della Direttiva". Così ha commentato
l’On. Massimiliano Smeriglio, eurodeputato Coordinatore S&D nella
Commissione per la cultura e l'istruzione (CULT).
"È evidente che il sistema così com’è non funziona. Gli artisti restano
relegati al ruolo di comparse in un ecosistema che vede arricchirsi tutti
tranne loro. I tempi sono maturi per riformare il settore restituendo
centralità alla figura dell’artista. Penso soprattutto a tanti esecutori ed
interpreti che godono di minori tutele.”
È il commento di Mario Biondi, special guest
dell’evento di presentazione della ricerca, svoltosi oggi in Università.
“A due anni dal Recepimento della
Direttiva Copyright, le scelte fatte dal Governo italiano allora in carica -
che ha lasciato la raccolta di questi compensi in capo ai produttori - hanno
prodotto la paralisi. I discografici tergiversano negandoci i dati sui ricavi streaming,
necessari per verificare l’adeguatezza dei compensi degli artisti. È necessario
rendere il settore realmente sostenibile per
tutti gli attori del processo, avviando una riforma che consenta agli artisti,
attraverso le loro collecting, la possibilità di incassare direttamente dalle
piattaforme i propri compensi, in autonomia dai discografici. Solo così si
potrà parlare di democrazia dello streaming”, ha commentato Gianluigi Chiodaroli, Presidente
di ITSRIGHT.
I
risultati della ricerca
La ricerca è
stata realizzata attraverso un questionario mirato cui hanno aderito oltre 800
artisti. È stato successivamente estratto un campione scientificamente
rappresentativo di 300 artisti per la finalizzazione dell’indagine dal punto di
vista sociologico ed economico.
Emergenza reddito, emergenza streaming
I risultati di questa analisi esplorativa permettono di
isolare emergenze significative.
La prima è la diffusa fragilità
economica degli appartenenti alle categorie degli interpreti, esecutori,
produttori artistici e direttori d’orchestra. La metà circa del campione che ha
partecipato all’indagine, non è in grado di sostentarsi con la sola musica.
In secondo luogo, emerge l’impatto residuale dello streaming sui
redditi, sia in senso assoluto che proporzionale. Degli artisti interpreti
ed esecutori che hanno partecipato alla ricerca il 79,33% dichiara, infatti,
di ricavare nulla o somme irrisorie dallo streaming.
La ricerca contraddice,
dunque, la retorica di chi parla di “democrazia dello streaming”. L’idea che lo streaming possa costituire
un efficace vettore di crescita economica per l’artista risulta
sostanzialmente smentita, mostrando un quadro di scarsa compensazione e basso
impatto sui redditi complessivi.
Presenza sulle
piattaforme online
Questi dati appaiono tanto più
significativi quando si considera che l’89% dei rispondenti segnala come le
proprie opere siano presenti su una o più piattaforme. In altri termini, lo
sfruttamento della musica in streaming è un’esperienza quotidiana per la
maggior parte degli artisti. Nel campione, ogni artista è mediamente presente su 3.3 piattaforme.
Per quanto riguarda le piattaforme su cui si
segnala la propria presenza più della metà del campione menziona YouTube
(71,7%), Spotify (65%) e Apple Music (50%); a queste seguono Amazon Music
(46%), Deezer (33,7%), Tidal (24%), QoBuz (14,3%), Primephonic (5%), in un
ordine che resta coerente per genere e fascia d’età.
Scarse protezioni e
tutele per gli artisti nell’ecosistema dello streaming.
Un’altra emergenza riguarda la protezione dell’artista.
Si registra anzitutto una generale e diffusa inadeguatezza di tutele
contrattuali rispetto ai diritti streaming, che, combinata a uno scarso
accesso alla reportistica relativa alle performance delle proprie tracce e a una
generale sfiducia
nella trasparenza delle case discografiche come
intermediarie, complica
ulteriormente il quadro di vulnerabilità dell’artista.
Dal punto di vista della rendicontazione degli stream emerge l’assenza
di un’infrastruttura di reportistica chiara e condivisa. Il 45% del
campione dichiara di non avere mai ricevuto rendiconti; soltanto il 28%
dichiara di averne ricevuti, e il 26.5% non risponde.
Rispetto alla formalizzazione di un contratto nel biennio 2021-2023
che regolamenti i compensi streaming si registra una dominante assenza di
tutele: il 91.7% del campione ha dichiarato di non beneficiare di tale
contratto.
Il campione registra una bassa soddisfazione rispetto all’attuale
funzionamento del sistema dei diritti streaming. Rispetto all’equità
dell’attuale ordinamento relativo ai diritti streaming, l’80%
dichiara che “gli artisti sono penalizzati e non ricevono quanto dovuto”, ossia
il livello minimo di soddisfazione. Il 9% ritiene il sistema “sostanzialmente
equo”.
Anche il livello di trasparenza delle case discografiche
risulta sostanzialmente insoddisfacente, con il 37.3% del campione che le
ritiene “per nulla” trasparenti.