Il caso
RAAP, collecting irlandese che
tutela gli artisti, chiede a PPI, collecting dei produttori, il
pagamento dei diritti spettanti agli artisti interpreti o esecutori, cittadini
o residenti di Stati extra UE, per la diffusione in pubblico di musica
registrata in Irlanda.
Come in molti altri Paesi UE, in
Irlanda il compenso dovuto a tali artisti (in particolare quelli USA) viene
trattenuto dai produttori, che incassano dagli utilizzatori (e non
ripartiscono) l’intera quota.
La questione finisce davanti al
tribunale, che chiede alla Corte di giustizia alcuni chiarimenti sulla
compatibilità del sistema irlandese con il diritto UE.
La
decisione della Corte di giustizia
La sentenza
della Corte è incentrata sull'interpretazione dell’art. 8
dir. 2006/115, nel quadro delle fonti internazionali rilevanti – WPPT e Convenzione
di Roma.
In particolare, si esaminano tre
diversi aspetti.
In primo luogo, si chiarisce che l’art.
8 deve
essere oggetto di un’interpretazione autonoma e uniforme in tutta l’UE, come
già avviene per altri concetti rilevanti in materia di diritti connessi (es. la
nozione di “pubblico” e “remunerazione equa”).
L’espressione “artisti
interpreti o esecutori” contenuta nella norma, alla luce degli obiettivi
della direttiva 2006/115 e degli accordi internazionali citati, coincide
pertanto con quella prevista nel WPPT, al quale l’UE ha aderito dal 2010: sono artisti
interpreti o esecutori tutte le persone che rappresentano, cantano, recitano,
declamano, interpretano o eseguono in qualunque altro modo opere letterarie o
artistiche o espressioni di folclore.
Il diritto ad una remunerazione
equa e unica, “di natura compensativa...che costituisce un diritto connesso”
e riconosciuto dalla direttiva e dai trattati internazionali, deve essere
suddiviso tra artisti e produttori, senza che gli Stati UE possano introdurre
ulteriori requisiti.
Soprattutto, il diritto al
compenso per gli artisti non è subordinato al possesso della
cittadinanza/residenza nell’UE, poiché l’unica condizione posta dall’art. 8 è
che l’utilizzo del fonogramma avvenga nel territorio dell’Unione.
In secondo luogo, la Corte di
giustizia rimarca che il diritto ad una remunerazione equa e unica “fa parte
integrante della tutela della proprietà intellettuale sancita dall’art. 17,
par. 2 Carta dei diritti fondamentali dell’UE” e può essere limitato solo a
condizioni stringenti. Peraltro, l’art. 8 non contiene del tutto limitazioni a
tale diritto e gli Stati non possono introdurne per conto proprio.
Infine, le regole europee
vietano il riconoscimento del diritto alla remunerazione ai soli produttori;
caratteristica essenziale di tale diritto è infatti quella della “suddivisione”
del compenso tra produttore e artista. Gli Stati UE possono stabilire le
condizioni della ripartizione tra le due categorie, ma non possono escluderla
del tutto per una di esse.
Perché
questa sentenza è importante? Oltre ad aver chiarito aspetti
importanti relativi al rapporto tra norme UE e norme internazionali (WPPT e
Convenzione di Roma) - come aveva già rilevato dettagliatamente l’avvocato
generale Tanchev nelle sue conclusioni – la
sentenza avrà conseguenze notevoli per tutti gli artisti.
La Corte è molto esplicita: i legislatori
nazionali non possono costruire categorie nazionali di artisti interpreti o
esecutori, perché le definizioni internazionali devono valere per tutti.
Una vittoria importante anche per i diritti connessi degli artisti stranieri, i
cui diritti per lo sfruttamento di opere protette nell’UE devono essere sempre
assicurati.